Sukiyaki Western Django
Sukiyaki Western Django
Durata
121
Formato
Regista
In Nevada un piccolo villaggio è conteso fra i Bianchi, guidati da Yoshitsune (Yūsuke Iseya), e i Rossi, capeggiati da Kiyomori (Kichi Sat). L'improvviso arrivo di un misterioso pistolero (Hideaki It) sconvolge i precari equilibri del villaggio, contribuendo a far precipitare in un bagno di sangue una situazione già tesissima.
Per il suo approccio al genere western, il prolifico Takashi Miike pesca a piene mani dalla tradizione del cinema di samurai giapponese (da Akira Kurosawa a Hideo Gosha), dal western italiano (Sergio Leone e Sergio Corbucci in primis) e dalla drammaturgia di Shakespeare (già abbondantemente presente negli autori citati) miscelando un cocktail lisergico e prolisso, citazionista e divertito, fiero di esibire la propria natura bastarda (lo straniante inglese parlato dai giapponesi ne è l'aspetto più evidente) in un continuo prendersi gioco di generi e registri. La presenza di Quentin Tarantino in apertura cerca così di dare una legittimazione a questo divertissement fumettistico, figlio di un cinema postmoderno e sfacciatamente pop, da non prendersi mai troppo sul serio. A tratti ridondante e con alcune lungaggini di troppo soprattutto nella prima parte, il film funziona curiosamente meglio nella versione internazionale più breve di venti minuti rispetto a quella uscita in patria. I tagli hanno limato numerose scene favorendo la scorrevolezza generale della pellicola, rimuovendo però interamente una divertente parentesi a sfondo omosessuale, giudicata evidentemente troppo grottesca per il pubblico occidentale.
Per il suo approccio al genere western, il prolifico Takashi Miike pesca a piene mani dalla tradizione del cinema di samurai giapponese (da Akira Kurosawa a Hideo Gosha), dal western italiano (Sergio Leone e Sergio Corbucci in primis) e dalla drammaturgia di Shakespeare (già abbondantemente presente negli autori citati) miscelando un cocktail lisergico e prolisso, citazionista e divertito, fiero di esibire la propria natura bastarda (lo straniante inglese parlato dai giapponesi ne è l'aspetto più evidente) in un continuo prendersi gioco di generi e registri. La presenza di Quentin Tarantino in apertura cerca così di dare una legittimazione a questo divertissement fumettistico, figlio di un cinema postmoderno e sfacciatamente pop, da non prendersi mai troppo sul serio. A tratti ridondante e con alcune lungaggini di troppo soprattutto nella prima parte, il film funziona curiosamente meglio nella versione internazionale più breve di venti minuti rispetto a quella uscita in patria. I tagli hanno limato numerose scene favorendo la scorrevolezza generale della pellicola, rimuovendo però interamente una divertente parentesi a sfondo omosessuale, giudicata evidentemente troppo grottesca per il pubblico occidentale.